giovedì 15 maggio 2014

KIT fotovoltaico per supervisione vigneti

KIT FOTOVOLTAICO PER SUPERVISIONE VIGNETI

Gli ultimi anni hanno visto un’interesse sempre crescente nei confronti delle performance di sostenibilità in vigna, con un’orientamento verso un modello produttivo che rispetti l’ambiente attraverso programmi concreti di sviluppo sostenibile, preservando il territorio ed offrendo opportunità di valorizzazione e di competitività dei prodotti italiani d’eccellenza sul mercato internazionale.


I produttori di vino sono quindi alla continua ricerca di nuove tecnologie che, nel rispetto dell’ambiente, permettano di facilitare la gestione del vigneto e allo stesso tempo di monitorare le varie fasi di lavorazione in vigna permettendo di individuare adeguate strategie operative.


Un valido aiuto ai viticoltori, a nostro avviso, arriva dall’azienda Sati Italia spa che nella propria gamma dedicata alle installazioni fotovoltaiche stand-alone offre una soluzione ad hoc che può essere utilizzata per diverse applicazioni nelle vigne.


KIT fotovoltaico


Si tratta di un KIT fotovoltaico da isola che permette soluzioni di vario genere. Nato come sistema di illuminazione stradale stand alone, questa soluzione particolarmente adatta in aree difficilmente raggiungibili dalla normale fornitura di energia elettrica, ha trovato una specifica applicazione nel campo della viticoltura. Il kit fotovoltaico per i vigneti può fornire l’alimentazione per telecamere di videosorveglianza (IP CAM) per proteggere il vigneto da atti vandalici, animali selvatici, furti,  per il controllo del “ciclo della vite” e dell’uva (fasi fenologiche, allegagione, invaiatura, stato dell’apparato fogliare, ecc..) e per la verifica reale delle condizioni metereologiche (con ad esempio la possibilità di verificare le condizioni del vigneto dopo un’evento meteorologico).


Il KIT può anche essere dotato di un apparato Wi-Fi che connesso a sonde wireless è in grado di rilevare importanti informazioni quali ad esempio: temperatura, umidità sia dell’aria che del terreno, durezza dell'acqua e molti altri dati utili ad una gestione innovativa del vigneto. Si avrebbe quindi la possibilità, per fare un esempio pratico, di verificare l’umidità del terreno ai fini dell’irrigazione di soccorso e molte altre applicazioni pratiche.


Grazie alla soluzione stand alone della Sati Italia spa, il viticoltore può orientarsi verso strategie utili al fine di prevenire e risolvere eventuali problematiche che potrebbero mettere a rischio la produttività del proprio vigneto.


Per chi volesse ottenere maggiori informazioni può contattare direttamente l’azienda ai seguenti riferimenti:


Sig. Sergio Buriano – Tel. 011.95.90.203 - s.buriano@sati.it


Sig. Mattia Mondini – Tel. 011.95.90.207

e-mail: info@solare@sati.it

sito: www.sati.it

 

martedì 29 aprile 2014

Il Marsala, vino liquoroso siciliano


Il Marsala è il vino liquoroso più famoso d’Italia, prodotto in Sicilia nella provincia di Trapani con il metodo Soleras.
Il disciplinare di produzione del Marsala DOC prevede, per la tipologia oro e ambra, i vitigni delle varietà a bacca bianca: Grillo, Catarratto, Insolia e Damaschino; mentre per la tipologia rubino, le varietà a bacca nera: Pignatello, Nero d’Avola e Nerello Mascalese, cui possono concorrere per un massimo del 30% i vitigni a bacca bianca delle altre tipologie.

lunedì 28 aprile 2014

Vini e vitigni dell’Etna


Ci troviamo alle pendici del “Mungibeddu”, come veniva chiamato in passato il vulcano attivo più alto d’Europa o, per essere più precisi e puntigliosi, il più alto della Placca euroasiatica, che nel 2013 è stato insignito dall’UNESCO del titolo di Patrimonio dell'Umanità e cioè, il maestoso Etna; siamo quindi sulla costa orientale della Sicilia e più precisamente in provincia di Catania.


L’Etna è un vulcano con origini che risalgono al quaternario ed un’altezza che si aggira attorno ai 3340 metri, quota che risulta variabile nel corso degli anni a causa delle continue eruzioni che ne cambiano la morfologia.


Si contraddistingue per un’alternanza fra paesaggi urbani, folti boschi, aree desolate ricoperte da roccia vulcanica  e sopra i 1000 metri di quota, per la presenza di zone innevate per buona parte dell’anno.


Nel territorio dell’Etna caratterizzato da zone impervie e poco accessibili, il duro lavoro dell'uomo ha tenacemente plasmato e addolcito il paesaggio lavico  per renderlo meno inospitale e pronto ad accogliere non solo vigneti, ma anche noccioleti, agrumeti, campi coltivati e numerosi insediamenti urbani.


Le lunghe distese, perlopiù scoscese, sono state rese coltivabili con la realizzazione di terrazzamenti delimitati da muretti a secco, edificati, neanche a dirlo, con pietra lavica.


Le viti trovano quì un terreno composto di lava e sabbia che si alterna a strati di pietra pomice, il terreno è molto ripido ed è ricco di minerali (potassio, fosforo, ferro e manganese), ma poco fertile. Proprio la scarsa fertilità fa si che le rese per ettaro rimangano decisamente basse, aggirandosi attorno ai 40 quintali e anche meno;  a basse rese però corrispondono alti livelli di qualità.


I sistemi di allevamento utilizzati vanno dal tradizionale “alberello”, spesso a piede franco reso possibile da un terreno che non favorisce la diffusione della fillossera, alla più attuale controspalliera utilizzata per metodi di coltivazione più moderni.


L’area sfruttata per la viticoltura è compresa fra i 400 e i 1000 metri slm, con rare eccezioni che arrivano a 1200 metri.


I vitigni coltivati sull’Etna sono principalmente quelli a bacca nera e nello specifico il nerello mascalese e il nerello cappuccio, con qualche tentativo che per ora non ha ancora dato i risultati sperati con il pinot nero. Per i vitigni a bacca bianca abbiamo principalmente carricante e minnella bianca.


Le condizioni pedoclimatiche (composizione del terreno, elevate escursioni termiche, ecc..) e il sapiente lavoro dei viticoltori,  fanno sì che le uve qui prodotte abbiano tutte le caratteristiche e le potenzialità per dare vini di ottima qualità e con caratteristiche organolettiche uniche.


Qualche dato

La superficie viticola totale del Parco dell’Etna è di 3.000 ha, di cui 450 con pendenze maggiori del 30% e 2.700 ad un'altitudine maggiore di 500 m s.l.m.
Per dare un'idea dell'opera monumentale che i viticoltori etnei hanno realizzato, è importante sottolineare che ben 2.250 ha sono realizzati su superfici terrazzate (dati aggiornati al 2006 - fonte CERVIM).
L'area viticola è notevolmente frammentata, con proprietà che vanno da poche are fino a 1 – 3 ettari e rarissime eccezioni che superano questa quota.
Il parco dell'Etna fa parte del CERVIM, associazione con il fine di "Valorizzare e salvaguardare il patrimonio creato dalla viticoltura di montagna e in forte pendenza".


Vitigni dell’Etna

Nerello mascalese


Le sue origini sono da localizzare presumibilmente nella piana di Mascali in privincia di Catania. Allevato tradizionalmente ad alberello, è il vitigno più diffuso nell'area dell’Etna.


Sinonimi
Nerello, nireddu, nuireddu mascalese

Caratteristiche
Pianta di buona vigoria, foglia medio-grande,pentagonale, trilobata, opaca e di colore verde chiaro.
Grappolo medio-grande, spesso alato, più o meno compatto, conico, piramidale.
Acini di media grandezza sferoidali o ellissoidali, con buccia spessa e molto pruinosa, di colore blu chiaro.
Matura dall’ultima decade di settembre alla prima di ottobre.


DOC
Etna, Faro, Contea di Sclafani, Marsala, Riesi, Sambuca di Sicilia.

Zone di coltivazione
Province di Catania, Messina, Agrigento e Enna.

 

Nerello cappuccio


Il suo nome deriva dalle caratteristiche dell’apparato fogliare che come un mantello copre i grappoli. E' un vitigno molto antico ma dalle origini incerte, coltivato prevalentemente in provincia di Catania e di Messina.


Sinonimi
Nerello mantellato

Caratteristiche
Pianta di buona vigoria, foglia di media grandezza, orbicolare, trilbata, opaca e di colore verde scuro.
Grappolo di media grandezza, di forma piramidale, compatto.
Acino di media grandezza sferoidali, con buccia consistente e pruinosa, di colore blu-nero. Matura i primi di settembre.


DOC
Etna, Faro.

Zone di coltivazione
Province di Catania, Messina, Agrigento e Enna

Carricante



Vitigno che a memoria d’uomo è sempre stato coltivato alle pendici dell’Etna.


Sinonimi
Carricanti, nocera bianca, catanase bianco.

Caratteristiche
Pianta di media/buona vigoria, foglia media, pentalobata, di colore verde bottiglia.
Grappolo di media grandezza, spesso alato, di forma cilindrica, mediamente spargolo, con acini medi, ellittici corti, buccia pruinosa e consistente di colore giallo-verdolino con la parte esposta al sole tendente al dorato.
Matura tra la fine di settembre e i primi di ottobre.


DOC
Etna bianco e Etna bianco superiore.

Zone di coltivazione
Provincia di Catania.

Minnella bianca



Vitigno coltivato da secoli quasi esclusivamente nel territorio etneo. Il suo nome deriva da "Minna", per la forma a “mammella” degli acini.


Caratteristiche
Pianta di scarsa vigoria, foglia di grandezza media di colore verde chiaro.
Grappolo di media grandezza a forma conico-piramidale, acini medio-piccoli, ellittici, buccia sottile di colore giallo dorato tendente al verdolino.
Matura attorno alla seconda metà di settembre.


DOC
Etna

Zone di coltivazione
Provincia di Catania.

domenica 27 aprile 2014

I vini e i vitigni di Pantelleria

L' isola di Pantelleria, gioiello incastonato nel Mediterraneo, posizionata a sud-ovest della Sicilia, presenta vigneti allevati principalmente ad alberello dove si raccolgono i grappoli di Zibibbo ( parola che deriva dall' arabo “uvetta” o “uva passita”), da cui si produce il Passito di Pantelleria detto anche “l’oro giallo di Pantelleria”

venerdì 25 aprile 2014

Vini siciliani e vitigni autocnoni della Sicilia


Alla scoperta dei vini siciliani, la storia, i dati ISTAT aggiornati sulla produzione di vino in Sicilia, i territori ed il clima, i vitigni più coltivati ed i vitigni autocnoni,  le zone vitivinicole e l' elenco completo ed aggiornato delle delle DOCG e delle DOC.

mercoledì 16 aprile 2014

Marsala, vino liquoroso di Sicilia

Il Marsala


 Ci troviamo in Sicilia, nella provincia di Trapani, che con i suoi 60 mila ettari vitati è la provincia siciliana in assoluto più produttiva, ed è qui che viene prodotto il vino liquoroso più famoso d’Italia: il Marsala.


Per capirne la qualità e le caratteristiche uniche, è necessario fare un passo indietro nella storia e andare al 1773, anno in cui un commerciante inglese di nome John Woodhouse, assaggiò in una locanda un vino chiamato perpetuum, allora considerato il vino per le grandi occasioni e quel giorno si trasformò proprio in una grande occasione perché Woodhouse, ne apprezzò le grandi potenzialità e decise di inviarne in patria 50 pipe, non prima però di averci aggiunto dell’acquavite di vino per preservare il prezioso contenuto durante il lungo viaggio. In Inghilterra il “perpetuum fortificato” ebbe un successo inimmaginabile.


La fama del Marsala richiamò l’attenzione di altri imprenditori inglesi, tra cui Benjamin Ingham che, a partire dal 1812, insieme al nipote Joseph Whitaker, ebbe un ruolo fondamentale per la crescita delle esportazioni anche fuori dall’Europa.


Il Marsala, infatti, si diffuse fino in Brasile, nell’America del Nord, nell’Estremo Oriente e persino in Australia.


Il primo imprenditore italiano ad interessarsi al Marsala, fu Vincenzo Florio, che nel 1833 nelle splendide cantine in pietra di tufo fatte costruite appositamente nella città di Marsala, ne iniziò la produzione. Vincenzo Florio ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del prezioso vino liquoroso, infatti, grazie alla Compagnia Florio, composta da 99 navi di sua proprietà, iniziò una capillare commercializzazione in numerose parti del mondo.


Nonostante un primo ventennio decisamente difficile, in cui gli enormi investimenti fatti non portarono i risultati sperati, l’intelligenza imprenditoriale e la caparbietà dei Florio fecero della produzione del Marsala l’attività trainante dell’intera economia siciliana.


Negli anni successivi altre aziende locali entrarono nella produzione del Marsala: Don Diego Rallo (1860), Vito Curatolo Arini (1875) e Carlo Pellegrino (1880).


 Negli anni seguenti il Marsala conobbe alterne vicende. Dopo la prima guerra mondiale infatti, sia la città di Marsala che il suo vino simbolo, subirono un tracollo economico; la produzione infatti ebbe un brusco calo a causa di commercianti che spacciando vino di bassa qualità per Marsala, ne rovinarono il buon nome.

Per arginare la diffusione incontrollata di vini di imitazione, nel 1931 il governo con il D.M. del 15 ottobre, ne circoscrisse la zona di produzione.


Il ministero delle Politiche agricole ha inoltre riconosciuto nel 1963 il Consorzio per la tutela del vino Marsala DOC, nato per volere dei produttori stessi.


Fino a che, nel 1969, gli fu attribuita la Denominazione di Origine Controllata (successivi aggiornamenti sono stati introdotti nel 1986, nel 1991, nel 1995 e nel 2011).


 Il Marsala è quindi un vino D.O.C. prodotto nella provincia di Trapani, con esclusione del comune di Alcamo, di Pantelleria e delle Egadi.

Per la produzione del Marsala il disciplinare prevede, per la tipologia oro e ambra, i vitigni delle varietà a bacca bianca: Grillo, Catarratto, Insolia e Damaschino; mentre per la tipologia rubino, le varietà a bacca nera: Pignatello, Nero d'Avola e Nerello Mascalese, cui possono concorrere per un massimo del 30% i vitigni a bacca bianca delle altre tipologie.


E’ bene notare che nonostante il disciplinare preveda che tali vitigni possano essere allevati con i sistemi più moderni, tra cui la spalliera, le qualità aromatiche e la carica zuccherina delle uve del Marsala nascono anche grazie al metodo di allevamento in assoluto più tradizionale, l’alberello. La vite è fatta crescere all’interno di una piccola conca e con una potatura adeguata viene fatto in modo che lo sviluppo dei grappoli avvenga nella parte più bassa della pianta, quasi a contatto con il terreno e con le foglie nella parte alta che fungono da protezione naturale dai raggi del sole.


Questo sistema di allevamento riesce a trarre il meglio dalla vite e dona ai suoi grappoli le qualità necessarie per poter ottenere i Marsala migliori.



Il Grillo è la varietà a bacca bianca che riveste un ruolo di primaria importanza nella produzione del Marsala, conferendogli la giusta alcolicità e donandogli un particolare bagaglio aromatico.




Il Catarratto (con l’esclusione dell'extra-lucido imposta dal disciplinare), è invece utilizzato per la sua proprietà di donare al Marsala l’aroma “marsalato”.


L’Inzolia anche detta Ansonica ha invece il compito di fornire un ricco ma delicato ed elegante bouquet di profumi.




Il Damaschino, di contro, è il vitigno meno utilizzato a causa della sua scarsa attitudine alla formazione di vini caldi e strutturati.
Il Pignatello o Perricone, nei vitigni a bacca nera, riveste un ruolo marginale, mentre il



Nero d'Avola (o Calabrese), anche per merito dei successi ottenuti in ambito internazionale nella produzione di vini rossi di qualità, è invece, di primaria importanza per il Marsala Rubino, infatti con la sua elevata percentuale zuccherina ed una buona acidità, conferisce: colore intenso, buona alcoolicità, corpo, struttura e caratteristici aromi di ciliegia o di marasca.


Il Nerello Mascalese, il Niureddu tipico della zona dell'Etna, ancora in fase di introduzione, dona intensità di colore ai suoi vini.


 

La vendemmia delle uve si svolge nel mese di settembre e dopo un’accurata selezione inizia il processo di vinificazione per ottenere il vino base.

Durante la fermentazione vengono utilizzate tecniche di travaso utili a favorire l’ossidazione del vino, mentre alla fine della fermentazione si procede all’aggiunta di etanolo (alcol etilico) di origine vitivinicola e/o di acquavite di vino, al fine di elevare il tenore alcolico.


Il Disciplinare di Produzione classifica il Marsala in base a: colore, grado zuccherino e durata dell'invecchiamento.

Vi è inoltre un’altra netta distinzione tra il Marsala Vergine e i Marsala "conciati", ovvero il Superiore ed il Fine, questa differenziazione è legata al processo produttivo, poiché, mentre Il Marsala Vergine può essere ottenuto esclusivamente dalle uve a bacca bianca, con l’aggiunta al vino base di alcool e/o di acquavite di vino, ai Marsala "conciati" vengono aggiunti anche mosto cotto o concentrato e/o mistella.


Per la tipologia Vergine è inoltre necessario un’invecchiamento di almeno 5 anni in legno (o 10, per il Vergine Riserva o Soleras o Stravecchio) ed il grado alcolico maggiore del 18% vol.


 Il colore, nei Marsala "conciati", dipende solitamente dalla quantità di mosto cotto o concentrato aggiunto al vino base e dalle caratteristiche delle uve utilizzate, ottenendo le tipologie:

  • Oro (senza aggiunta di mosto cotto);

  • Ambra (con aggiunta di mosto cotto non inferiore all'1%);


  • Rubino (prodotto da uve a bacca nera, con eventuale aggiunta massima del 30% di uve a bacca bianca; è vietata l’aggiunta di mosto cotto);




Le altre tre tipologie di Marsala “conciato”, sono classificate in funzione della percentuale di zucchero, e sono denominati:

  • Secco, < 40 grammi/litro;

  • Semisecco, fra i 40 e i 100 grammi/litro;


  • Dolce, > 100 grammi/litro.




Ed infine, in relazione all'invecchiamento, il Marsala è chiamato:

  • Fine, minimo 1 anno e alcool superiore al 17%;

  • Superiore, minimo 2 anni e grado alcolico superiore al 18%;


  • Superiore Riserva, minimo 4 anni.




Per l’affinamento del Marsala Vergine e/o Soleras viene utilizzato il metodo, già utilizzato in Spagna e in Portogallo per la produzione rispettivamente dello Sherry e del Madeira e introdotto nel 1812 da Benjamin Ingham anche in Sicilia, chiamato Soleras.

Il metodo consiste nel posizionare botti di rovere o ciliegio, riempite per 2/3, in cataste a piramide, in cui quelle poste sul pavimento vengono chiamate solera, mentre quelle dei piani superiori sono dette criadera.


Dalle solera è spillato il vino che si ritiene ormai pronto e rimpiazzato con quello prelevato delle criadera del livello superiore e così di seguito, fino ad arrivare alla botte del piano più alto in cui verrà inserito il vino dell’ultima vendemmia.


In tal modo nelle botti solera (il piano più basso) in termini teorici, si potrà trovare vino proveniente da tutte le vendemmie precedentemente integrate, in questo modo il prodotto che ne deriva acquisisce un bouquet tipico e unico, legato ai lenti processi ossidativi che negli anni hanno dato il loro tocco di qualità.


Si avranno quindi Marsala Superiore e Vergine con inebrianti bouquet di vaniglia, caramello, liquirizia, agrumi canditi, miele e spezie dolci, in altre parole un vero gioiello enologico.

lunedì 14 aprile 2014

I vini e i vitigni di Pantelleria

I vini e i vitigni di Pantelleria



Pantelleria, gioiello incastonato nel Mediterraneo, creata dal connubio fra la forza della natura e la sapiente mano dell’uomo. Terra di conquista per la sua posizione strategica per fini sia commerciali che militari.


Pantelleria che nei secoli è stata chiamata: Ogigia (la misteriosa), Yrnm (isola degli struzzi), Kyram (dal quarto libro delle Storie Erodoto), Ghusiras (dai Saraceni), Bent el Riah (figlia del vento, dagli Arabi) e anche Quansera e Qasera, Kosuros e Kossura, Cossyra e Cossura, nel periodo bizantino fu chiamata Patalarèas o Patelereas dai monaci basilani, fino ai documenti della Cancelleria degli Angioini del 1260, 1285 dove finalmente arrivò ad essere chiamata Pantelleria.


 L’alternanza di diversi popoli e culture, ha lasciato testimonianze del lavoro che l’uomo con fatica e ingegno ha realizzato a Pantelleria, sono infatti numerose le costruzioni che lo dimostrano e che ancora oggi si possono ammirare sull’isola:

  • Il Dammuso, di origine Araba, fabbricati rurali con spessi muri a secco in pietra "rutta", cioè a pietra grezza, o a pietra "taddiata", con tetti bianchi a cupola;

  • i Sesi, monumenti funebri (almeno secondo il parere degli studiosi), sempre realizzati in pietra e con tetti a cupola e forma ellittica, che arrivano a 6 metri di altezza;

  • il Castello Barbacane, si ipotizza che fu realizzato in epoca Bizantina o Araba e ampliato in epoche successive;

  • la stufa Kazen un locale sotterraneo, esempio di ingegneria civile, in cui venivano trattenuti i vapori provenienti dal sottosuolo.



Infine, un’opera che merita di essere citata come uno dei simboli di Pantelleria e dell’incredibile lavoro dei contadini panteschi,  perché in nessun altro luogo al mondo si possono trovare vigneti a terrazzamenti, ognuno dei quali è delimitato da muretti a secco di pietra lavica, che nell’insieme si estendono per oltre 7 mila chilometri.


La viticoltura pantesca è infatti definita “eroica”, per l’enorme impegno richiesto per la cura delle preziose viti.


Luigi Veronelli, indimenticabile maestro della cultura enogastronomica, scrisse di Pantelleria e dei suoi contadini queste parole:

“Ancor più mi emoziona la fatica contadina. Lavorare sulle viti e sui capperi stanca in ogni luogo. Immagina qui, su queste pietre infuocate e senza riposi. I contadini di Pantelleria sono angeli matti.”


In questi vigneti allevati principalmente ad alberello, si raccolgono i grappoli di Zibibbo, da cui si produce “l’oro giallo di Pantelleria”.

La Denominazione d'Origine Controllata "Pantelleria" è riservata ai vini che rispondono ai requisiti prescritti dal relativo disciplinare di produzione e che prevede le seguenti tipologie:




  • Moscato di Pantelleria;

  • Passito di Pantelleria;

  • Moscato spumante;

  • Moscato dorato;

  • Moscato liquoroso;

  • Passito liquoroso;

  • Zibibbo dolce;

  • Bianco (anche Frizzante).



La parola "zibibbo" deriva dalla parola araba zabīb (زبيب) che vuol dire "uvetta" o "uva passita", anche noto come Moscato di Alessandria, sonomoscatellone, salamonica, salamanna o seralamanna. Di origini egiziane, questo vitigno è stato introdotto dai Fenici (altre fonti ne attribuiscono l’introduzione da parte degli Arabi) e diffuso nel bacino del Mediterraneo dai Romani, fu utilizzato durante la dominazione araba principalmente per la produzione di uva da tavola e uva passa.


Lo zibibbo è un vitigno facente parte della famiglia dei moscato è quindi un aromatico per eccellenza, con i conseguenti caratteristici aromi primari che lo contraddistinguono; i più noti sono i terpeni e la loro presenza da origine a sentori legati a descrittori floreali, non mancano però aromi fruttati.

A Pantelleria, con un clima caratterizzato dalla presenza quasi costante di vento (prevalentemente di scirocco) e dalla scarsità di  pioggia soprattutto nei mesi estivi, si ha una produzione con grande concentrazione zuccherina, ulteriormente incrementata con la pratica dell’appassimento.

Le caratteristiche del vitigno identificano una pianta mediamente vigorosa, con foglia media a forma da pentagonale ad orbicolare, grappolo cilindro-conico o cilindrico, alato, da spargolo a compatto con acini grossi di forma obovoide, dalla consistenza croccante e colore giallo verdolino tendente al dorato.

Il vino principe dell’isola e cioè il Passito di Pantelleria, è caratterizzato da un colore giallo dorato carico tendente all’ambra,  al naso presenta inebrianti sentori di albicocche, fiori e miele, mentre in bocca oltre a ritrovare quanto evidenziato nell’esame olfattivo lo si percepisce dolce, corposo, caldo, sapido, dotato di un giusto equilibrio fra acidità e morbidezza, nel complesso decisamente armonico.